PADRE PIERO GHEDDO: GLOBALIZZIAMO L’EDUCAZIONE

 

 

 

Padre Piero Gheddo

CHI È PADRE PIERO GHEDDO. Padre Piero Gheddo è uno dei missionari più famosi d’Italia. Quando Giovanni Paolo II ha deciso di scrivere un’enciclica sulle missioni. la "Redemptoris Missio" del 1990 proprio a Padre Gheddo si è rivolto per fargli preparare una traccia. Nato nel 1929 in un paese del Piemonte (Tronzano, Vercelli) è entrato nel Pime nel 1945 e ordinato sacerdote nel 1953. Nel 2003 celebra 50 anni di sacerdozio. E’ stato fra i fondatori dell’Editrice Missionaria Italiana (EMI, 1955) e di "Mani Tese" nel 1963. Ha visitato numerosi paesi e Chiese nel mondo missionario. in ogni continente. Padre Piero Gheddo è uno che dà la vita per i bambini del Terzo Mondo, che conosce come le sue tasche, avendo visitato più di 170 Paesi e non per un giorno o due a testa, ma standoci a lungo nelle linde catapecchie dei missionari del PIME. Direttore della rivista "Mondo e Missione" per 35 anni (1959-1994), fondatore e direttore dell’agenzia d’informazione "Asia News" nel 1987, ha pure diretto la rivista per i giovani "Italia Missionaria" (1953-1958, 1975-1991). Padre Gheddo ha collaborato con numerosi giornali italiani (Avvenire, Osservatore Romano, Il Giornale, Gente, Epoca, Famiglia Cristiana, Il Messaggero di Sant’Antonio...). Grazie alla sua grande conoscenza dei fatti "sul campo" ha potuto prendere posizioni contro corrente anche in campo politico, come durante la guerra del Vietnam e i Khmer rossi in Cambogia: in Italia è stato il primo che ha denunziato che i "liberatori" erano in realtà nuovi oppressori del popolo. Così ha molto scritto sulla fame nel mondo e sviluppo-sottosviluppo dei popoli, che attribuisce anzitutto a fattori educativo-culturali-religiosi, prima che economico-tecnici. Padre Gheddo ha scritto settanta volumi. Ha ricevuto tre prestigiosi premi giornalistici italiani, fra i quali il "Premio Campione d’Italia" nel 1972. Dal 1994 è direttore dell’Ufficio storico del Pontificio istituto missioni estere a Roma, ma ha anche una sede e la segretaria a Milano (suor Franca Nava) per le collaborazioni giornalistiche e le conferenze serali a cui è spesso invitato. E’ postulatore di quattro cause di canonizzazione. L’ultimo libro, in ordine di tempo. che ha scritto - insieme con Roberto Beretta - è "Davide e Golia. I cattolici e la sfida della globalizzazione" (San Paolo, 2001). Egli documenta la cecità volontaria di una cultura ideologizzata che ha spinto tanta parte dei cattolici ad intrupparsi, da gregari e succubi, dietro le menzogne dominanti. Nell’oscurità di tanta parte ideologizzata del mondo cattolico, Padre Gheddo è uno splendido esempio di intelligenza cristiana.

 

EVANGELIZZAZIONE E SVILUPPO

«Padre Gheddo, non pensa anche Lei che la Chiesa dovrebbe rendersi più povera per essere più vicina agli "ultimi" del mondo?

Ma la Chiesa è già vicina ai poveri. In molti Paesi africani la Chiesa, i preti, le suore, i volontari laici, le comunità cristiane, i vescovi sono già vicini al popolo, vivono con questa gente. Un chirurgo musulmano in Pakistan mi ha consegnato una lettera per il Papa nella quale chiedeva di mandare altri missionari cattolici, suore, preti e laici che oggi scarseggiano, perché portino avanti l’opera di civilizzazione considerata necessaria alla crescita in aree anche lontanissime dai capoluoghi. In molti territori i governi non arrivano, oppure sono troppo corrotti, o privilegiano solo le città. Nel Mato Grosso, in Amazzonia, dove lavoriamo noi del Pime, se non ci fosse la Chiesa non ci sarebbe nessuno. Quindi dire che la Chiesa dovrebbe stare dalla parte dei poveri mi sembra ridicolo e anche un po’ assurdo. Lei mette l’accento sull’educazione. Ma la questione concreta del sottosviluppo di molti Paesi, si dice, è innanzitutto economica. Il fatto è che noi viviamo in una civiltà materialista, nella quale non riusciamo più a capire il collegamento che c’è fra religione e sviluppo, fra cultura e sviluppo, fra educazione e sviluppo. Ci sembrano aspetti poco influenti sulla concretezza dei problemi. Ma chi va nei Paesi poveri e ci vive si accorge subito che non è così. Un missionario trentino in Tanzania, Padre Camillo Calliari, mi diceva: "Io ho fatto molto per questa gente, ho portato l’acquedotto, ho costruito il caseificio, l’ospedale, ma qui hanno bisogno della rivoluzione del Vangelo, occorre cambiare la mentalità delle persone.

Perché qui in Italia la fede non sembra centrare affatto con lo sviluppo?

Perché qui ragioniamo in termini quasi solo tecnico-economici. E questo è sbagliato: "sotto" c’è sempre la cultura, l’educazione, la religione. Quando si parla di popoli poveri, sia gli otto Grandi del mondo, sia i no-global si riferiscono ai soldi. Ma i soldi, da soli, non producono sviluppo. Ci vogliono, certo, ma quando c’è una educazione a produrre. Altrimenti generano corruzione.

Ma nei Paesi arretrati non è contraddittorio spendere energie per la scuola anziché direttamente per i poveri?

Non è affatto contraddittorio. La scuola intesa in senso lato, anche come scuola-fattoria, professionale, è proprio l’elemento primario per "tirar su" i poveri. Quando noi missionari del Pime siamo andati in India, nel 1855, i paria erano degli schiavi della terra e lo sono rimasti fino al 1950. Come abbiamo aiutato i paria noi del Pime, ma anche altri istituti che sono venuti lì, i salesiani e altri? Educandoli. Con la scuola. Non abbiamo fatto tante proteste. Perché tu quando formi i figli dei paria e li mandi a scuola, ne fai dei professionisti, infermieri, educatori, medici, poi deputati, poi vescovi e preti: la loro categoria sale. Oggi il governo indiano riconosce che il riscatto dei paria è dovuto ai missionari cristiani, alle chiese. Non solo cattoliche, anche protestanti.

Che ruolo occupa il lavoro, nei Paesi poveri, dal punto di vista del nesso cultura-sviluppo?

Bisogna distinguere fra economie di sussistenza ed economie di mercato, che producono per il mercato. Nelle economie di sussistenza i popoli vivono giorno per giorno. Il passaggio ad una mentalità produttiva, orientata a guadagnare e ad esportare non è facile. Ci vuole l’educazione e la condivisione concreta. Quando si educa ad una produttività agricola anche per la vendita e l’esportazione al di là del mercatino del villaggio, allora si crea lo sviluppo. Pensi che al largo della Guinea Bissau esistono ottanta isole, alcune anche molto grandi. Quando l’alta marea si ritira lascia la spiaggia piena di pesci. Un missionario di Chioggia, Padre Luigi Scantamburlo, si è messo in testa di insegnare ai guineani a pescare. Ha detto loro: "Vengono qui le compagnie della pesca e voi vi accontentate del pesce che pescate voi?" Ha creato allora 80-90 cooperative di pesca e fatto costruire le barche, i motori, la barca frigorifera e adesso dovrebbero realizzare la fabbrica della farina di pesce da vendere nella capitale. Ebbene Padre Luigi mi ha detto che la maggior difficoltà non è stata quella di insegnare ai giovani queste tecniche, ma di convincere gli anziani, i capifamiglia che occorreva pescare più del dovuto, più del necessario a loro stessi per vivere. Questo perché l’ideale di questi popoli non è progredire, ma mantenere la tradizione del passato.

Ma oggi, il più delle volte si insegna che il problema del rapporto tra popoli ricchi e Paesi poveri è l’economia di eguaglianza, il commercio delle armi, l’estinzione del debito...

E’ sbagliato. La globalizzazione deve partire dal campo culturale, educativo, religioso, della rivoluzione delle idee per avvicinare tutti i popoli e creare un mondo migliore sotto ogni profilo.

Ma il mondo migliora prima ancora che per l’economia e la sociologia, grazie alle idee, alla religione, alla cultura. Bisogna quindi partire da lì, vale a dire anche dalla nostra fede, per arrivare poi anche all’economia. Mi pare invece che stiamo diventando un po’ tutti pagani, ma dove non c’è più Gesù Cristo saltano fuori i maghi.... La missione comunque e necessaria in modo particolare in Italia, dove negli ultimi 30-40 anni ci siamo lasciati travolgere dal consumismo, dal materialismo, dal laicismo, dal marxismo per cui abbiamo perso la nostra fede e identità.

A un certo punto Zanotelli nell’intervista rilasciata all’Adige, alla domanda: "Secondo te, cosa dovrebbe fare la Chiesa di oggi nel Trentino?" risponde: "Deve proporre dei valori". Valori? Deve proporre Gesù Cristo. Perché come diceva Paolo VI "i grandi valori senza Gesù Cristo diventano dis-valori". Tutti vogliono la pace, chiedono la solidarietà ma non si va da nessuna parte se non c’è il modello, l’ispirazione, senza la persona di Gesù Cristo. Per questo io rimprovero a Zanotelli di non parlare mai di Cristo, dei missionari e della Chiesa. Parla solo della Chiesa "berlusconizzata". Un anno e mezzo fa, a Milano, sono andato ad ascoltarlo. Ha parlato un’ora e 40 minuti, ma della Chiesa una volta sola quando ha detto: "Giovani, dovete ridurre i vostri consumi, dovete abolire ogni spreco, non sposatevi in Chiesa, andate in Comune con i vestiti di tutti i giorni".

Se Lei potesse rivolgersi adesso a Padre Alex Zanotelli, cosa gli direbbe?

Parla da missionario e non da agitatore di masse. Non lasciarti trascinare dall’ondata di tutti quelli che ti battono le mani perché segui la corrente dei no-global». (Educazione e sviluppo - A.V.S.I. Trento - Associazione Volontari per il Servizio Internazionale. Intervista a cura di Antonio Girardi)

 

NON DEMONIZZATE LA GLOBALIZZAZIONE, E’ UN ERRORE IMPERDONABILE

«Padre Gheddo, la globalizzazione è una sfida, un’opportunità, una realtà da demonizzare o cos’altro?

E’ un’opportunità. Il Papa dice che è uno strumento che può essere usato bene o male. Demonizzare la globalizzazione non mi pare un cosa giusta. Naturalmente va governata, controllata e solidarizzata. La tragedia del nostro tempo: il Nord evoluto, colto, democratico, ricco e produttivo e il Sud povero, analfabeta, soggetto a regimi dittatoriali e improduttivo. Insomma c’è un abisso che non è riconducibile solo al fattore economico o tecnico, ma anche a quello culturale, educativo e storico.

Cosa pensa dei no-global e dei Social forum?

Sono giovani di buona volontà, animati dal desiderio di migliorare il mondo. Quel che è sbagliato è l’ideologia che seguono. Spero che si interroghino sul valore della loro ideologia e sugli sbagli radicali, come quello di attribuire tutte le colpe all’Occidente. Non basta dire che il 20% della popolazione mondiale consuma l’80% delle ricchezze, bisogna dire anche che produce l’80% delle ricchezze.

Secondo lei per quale via il mondo può incamminarsi verso un futuro migliore con condizioni di maggiore equità e giustizia?

La prima cosa da fare consiste nel tornare al Vangelo, tornare a Gesù Cristo, perché da qui deriva l’input dello sviluppo. Occorre tornare alle radici del nostro umanismo e delle nostre identità. In secondo luogo vediamo che oggi il divario tra Nord e Sud del mondo è così abissale che non si può pensare di colmarlo solo con il soldi, con le macchine, con le tecniche, con le leggi, coi governi, coi commerci, ma con una motivazione molto più profonda, qual è quella religiosa. Come cristiani dobbiamo tornare alle radici della fede per instaurare rapporti di fraternità tra i popoli. Invece molte volte ci riduciamo ad essere solo degli operatori sociali, dei sindacalisti o che so io.

In che modo noi privilegiati possiamo giungere a realizzare una vera condivisione con i Paesi più poveri del sud del mondo?

Mi va bene che il nostro governo abolisca la leva militare. Ma perché i no-global non mandano alcuni giovani a fare un anno di volontariato in Africa, a vivere in un villaggio, mangiando quello di cui si nutrono loro? Allora davvero ci sarebbe un rapporto tra ricchi e poveri, altro che protestare contro le multinazionali o andare a spaccare le vetrine dei Mc Donald’s! Non basta la protesta sterile e fine a se stessa. Occorre dare grandi ideali ai giovani. Ma chi, fra i giovani, del mondo ricco, va nel fondo dell’Africa a insegnare ai contadini africani, nella loro lingua, a produrre? Molto più comodo andare a Genova a spaccare vetrine e mettersi in pace la coscienza con quattro slogan» (Settimanale diocesano - Verona fedele, 7-5-2003).

«Agenzia Fides: I "no global" hanno ragione?

Grazie alla globalizzazione, nell’ultimo mezzo secolo, il terzo mondo si è in gran parte sviluppato. Mi riferisco soprattutto all’Asia, dove il progresso è evidente anche in paesi poverissimi come il Bangladesh, mentre sono rimasti indietro i paesi dominati da dittature socialiste che non si sono aperte al libero mercato (Corea del Nord e Birmania). Se in Vietnam avesse vinto la parte filo-americana, oggi il paese sarebbe democratico e sviluppato come la Corea del Sud e Taiwan, non sotto una dittatura e in preda al sottosviluppo e alla fame (com’è anche la Corea del Nord). Il Giappone è uscito in ginocchio e affamato dalla guerra (come pure all’Italia) eppure è diventato una grande potenza economica. I regimi marxisti o guerriglieri marxisti non eliminano la fame, semmai la producono (in Corea del Nord un folle regime comunista ha provocato una carestia, tuttora in corso, che secondo l’Onu ha fatto dai 2 ai 3 milioni di vittime, mentre la Corea del Sud, grazie al libero mercato e alla democrazia ha livelli di benessere occidentali). All’indomani della morte di Mao (1976), Teng Shiao Ping dichiarò che si erano persi 30 anni, bisognava recuperarli. L’india ha avuto l’ultima carestia nel 1966, estesa meno di Etiopia e Sudan, con un miliardo di abitanti contro 80 milioni, esporta cibo (in Africa, Medio Oriente e Russia), mentre in Etiopia e Sudan si muore di fame. Secondo uno studio della Banca Mondiale del 2002, dal 1990 al 1999, i poveri sotto il livello minimo di vita sono diminuiti dal 27,6% al 14,7% nell’Asia orientale e Pacifico; dal 44 al 40% nell’Asia meridionale; dal 16,8 al 12,1% nell’America Latina e Caribe; dal 2,4 al 2,1 in Medio Oriente e Nord Africa. Pertanto, la causa radicale dell’abisso fra ricchi e poveri non è il mercato mondiale.

Agenzia Fides: Quali sono allora le vere cause del sottosviluppo?

Piero Gheddo. Pochi anni fa un missionario della Consolata mi diceva in Tanzania: "I pilastri del sottosviluppo africano sono quattro: fanatismo, analfabetismo, governi corrotti e i militari". La causa radicale dell’aumento dell’abisso fra ricchi e poveri è la mancanza d’istruzione e di crescita democratica dei popoli più poveri, la politica sbagliata delle élites di governo. Lo sviluppo può venire solo dall’istruzione, dall’evoluzione di mentalità e culture, dall’educazione a produrre di più, da governi stabili, dalla libertà economica e dal libero mercato mondiale. Non si tratta di distribuire il benessere, ma di educare i popoli a produrre il proprio sviluppo. Voglio anche dire che lo slogan "il sud è povero perché il nord è ricco" o vice-versa, è una colossale menzogna che certo non aiuta i popoli poveri.

 

NON DEMONIZZARE NÉ ESALTARE

Agenzia Fides: Ci sono altri aspetti positivi nel fenomeno della globalizzazione?

Piero Gheddo. Come ha detto il Santo Padre. "la globalizzazione, a priori, non è né buona, né cattiva. Sarà quello che le persone ne faranno. E necessario insistere sul fatto che la globalizzazione deve essere al servizio della persona umana, della solidarietà e del bene comune". Ci sono aspetti negativi nella globalizzazione, perciò, di fronte a un fenomeno così nuovo, dobbiamo essere molto cauti: non demonizzare, né esaltare. Demonizzare la globalizzazione, però, è un errore imperdonabile. Bisogna migliorare i meccanismi, le regole, le realizzazioni, ma non andare contro un fatto epocale che è inevitabile e positivo.

Agenzia Fides: Lei ha toccato con mano, nei diversi angoli del mondo, le sofferenze e la povertà dei popoli. Dal punto di vista del missionario, quali benefici si possono prospettare per i poveri del mondo?

Come ricorda incisivamente il Santo Padre nella lettera "Novo Millennio ineunte", occorre ripartire da Cristo, ritornando al Vangelo e alla fede, ravvivando la vita cristiana. Se fossimo dei cristiani migliori saremmo in grado di comprendere ed aiutare meglio i poveri del mondo. Una prova di questo è che i missionari cristiani - cattolici e protestanti - con i loro volontari laici, generano sviluppo tra i poveri, mentre i progetti governativi di cooperazione internazionale spesso creano "cattedrali nel deserto".

I missionari gettano ponti di comprensione e di educazione vicendevole fra i popoli, i progetti governativi no. Lo sviluppo dei popoli però è un tema molto complesso. La nostra civiltà materialista lo riduce al fattore economico: ricchi e poveri.

J. Maritain dice che la radice dello sviluppo umano sta nell’idea che un popolo si fa di Dio, dalla quale deriva la sua cultura, l’idea della natura, dell’uomo, del lavoro umano, del cammino verso la meta. La missione della Chiesa è quella di annunziare e testimoniare Gesù, unico Salvatore dell’umanità. La Chiesa è stata la prima a globalizzare i popoli annunziando il Vangelo (Mc 16, 15)» (Agenzia Fides 8/11/2002).

 

UN NUOVO MONDO È POSSIBILE, MA SOLO A PARTIRE DA CRISTO

Noi missionari che messaggio diamo a questi giovani e adulti di buona volontà, orientati verso la solidarietà con il Sud del mondo?

I missionari sul campo sanno molto bene che questi popoli, come diceva Madre Teresa: "hanno fame di pane, ma ancor più hanno fame di Dio". Per aiutare i poveri, non basta protestare e chiedere più soldi ai grandi della terra (facciamolo, ma non basta!): occorre annunziare Gesù Cristo, formando le coscienze, educando le famiglie, le comunità cristiane, i popoli stessi ai valori del Vangelo.

 

STRUMENTALIZZAZIONI POLITICHE

Tutti gli uomini, tutti i popoli e tutte le culture, hanno bisogno di Cristo. "Un altro mondo è possibile!", gridano i new global.

È un’aspirazione ideale che condividiamo profondamente: il modello di sviluppo in cui viviamo non soddisfa nessuno, nemmeno noi ricchi. È positivo che ci sia chi si mobilita spinto da ideali di giustizia, solidarietà, bene comune.

Non di rado i no-global cattolici cadono - a mio avviso - in letture semplicistiche della realtà, talvolta - forse senza averne piena coscienza - vengono strumentalizzati politicamente.

Ma la fede e l’esperienza dei missionari ci dicono che "un altro mondo" è possibile solo a partire da Gesù Cristo, unico Salvatore dell’uomo. Se non siamo convinti di questo, dobbiamo interrogarci sulla nostra fede: "La missione è l’indice esatto della nostra fede in Cristo", dice ancora la Redemptoris missio (n.11). Mi chiedo: perché questo messaggio, questa esperienza di vita, non passa nemmeno nei new global cattolici di associazioni, gruppi missionari e di volontariato internazionale?

Perché non diventa "movimento", sostituendo l’ideologia della denunzia e della protesta. Proviamo a chiederci dove sono finiti i più vivaci e intelligenti "contestatori" del Sessantotto.

 

I CONTESTATORI DEL ‘68, OGGI SONO DIRIGENTI

Risposta: nelle direzioni dei giornali e delle televisioni, nei consigli di amministrazione delle multinazionali che contestavano. Qualche anno fa, andando in aereo da Milano a Cagliari, mi si presenta (non l’avrei riconosciuto) uno dei giovani che avevano aderito a Mani Tese alla fine degli Sessanta, pieni di ideali e di capacità di sacrificio per gli altri. Adesso, cinquantenne, ha fatto carriera ed è amministratore di un impero economico che trent’anni fa avrebbe demonizzato.

 

I FALSI SLOGAN DEI NO GLOBAL

Al di là delle semplificazioni del movimento new global ("loro sono poveri perché noi siamo ricchi", è uno slogan facile e di sicuro effetto, ma anche una menzogna colossale), bisogna riconoscere che il movimento mobilita idealità e generosità e, a noi missionari, questi giovani ci interpellano, chiedono di essere orientati. Se proponiamo loro, come impegni prioritari, di lottare per la giustizia economica internazionale, di mandare più aiuti economico-tecnici ai popoli poveri, di azzerare il debito estero dei Paesi poveri, di abolire la vendita delle armi, di acquistare i prodotti del commercio equo e solidale, di protestare contro le multinazionali che sfruttano i poveri (questioni che riguardano quasi solo l’economia), noi li illudiamo, facendo loro proposte molto limitate, obiettivi che si possono anche condividere ma non assolutizzare come fanno i new global e i "profeti della protesta". Senza cadere nello spiritualismo disincarnato, dobbiamo mirare in alto, più in alto: l’obiettivo del cristianesimo è anche la giustizia e la solidarietà fra i popoli, ma i Papi e i missionari sul campo vanno ben oltre. Giovanni Paolo II lo dice chiaramente nella Redemptoris missio (n. 83): "Non si può dare un’immagine riduttiva dell’attività missionaria, come se fosse principalmente aiuto ai poveri, contributo alla liberazione degli oppressi, promozione dello sviluppo, difesa dei diritti umani. La Chiesa missionaria è impegnata anche su questi fronti, ma il suo compito primario è un altro: I poveri hanno fame di Dio e non solo di pane, e l’attività missionaria, prima di tutto, deve testimoniare e annunziare la salvezza in Cristo, fondando le Chiese locali, che sono poi strumenti di liberazione in tutti i sensi".

 

SI UMANIZZA, EVANGELIZZANDO

Nella "Sollicitudo rei socialis" il Papa aggiunge (n. 41): "La Chiesa non ha soluzioni tecniche da offrire al sottosviluppo in quanto tale, ma dà il primo contributo alla soluzione dell’urgente problema dello sviluppo quando proclama la verità su Cristo, su se stessa e sull’uomo, applicandola ad una situazione concreta". I vescovi latinoamericani affermano: "Il migliore servizio al fratello è l’evangelizzazione, che lo dispone a realizzarsi come figlio di Dio, lo libera dalle ingiustizie e lo promuove integralmente" (Puebla, 3.760). Il compito dell’animazione missionaria è di educare i giovani, che ci seguono, a capire che il Vangelo è l’unica e vera soluzione ai problemi dell’uomo e di suscitare vocazioni missionarie, cioè di far innamorare i giovani di Gesù Cristo. Ma è possibile questo, quando di Gesù parliamo così poco o quasi mai in riviste, libri, convegni, inconti culturali e sulla fame nel mondo? La sfida è di ripresentare con forza e chiarezza la soluzione cristiana, che la Chiesa sperimenta da molti secoli: l’esperienza dei missionari che non hanno atteso l’Onu o la Fao per l’aiuto ai poveri e la loro elevazione umana.

 

CENSURA SULLE MISSIONI

Ora, sembra quasi che su questa dimensione dell’impegno missionario sia calata una sorta di morbida censura. Come se si avesse paura a proporre il Vangelo anche come fattore di autentico sviluppo umano. Don Gianni Rocchia, sacerdote fidei donum di Cuneo, in Brasile dal 1968, ha scritto a "Mondo e Missione" (giugno-luglio 2002, p. 8): "Da molti anni leggo la rivista di cui apprezzo la linea missionaria ed ecclesiale. Scrivo perché provo vergogna in Italia nel dire che in Brasile mi dedico ai ritiri, ai giovani e alla formazione dei preti. Tutti vogliono sentir parlare delle lotte popolari, dei senza terra, dei meninos da rua e delle adozioni internazionali. Anche in questo sono immerso, ma la mia opzione è più diretta all’evangelizzazione".

 

Padre Igino Mattarucco del Pime, in vacanza dalla Birmania, scriveva sempre a "Mondo e Missione" (agosto-settembre 1986, p. 412): "Invitato a parlare in parrocchie, gruppi missionari e giovanili, ho trovato una buona sensibilità riguardo alla fame di pane, ma mi pare ci sia quasi un’insensibilità alla fame di Dio. L’aiuto materiale ai poveri è compreso, l’annunzio di Cristo sembra superfluo, quando non è contestato: "Hanno anche loro una religione, mi sento dire, perché disturbarli nelle loro credenze?". Dopo alcuni mesi che sono in Italia mi sento spinto anch’io a parlare soprattutto di lebbrosi da curare, di profughi e orfani da accogliere, di gente poverissima da aiutare in vari modi, di ingiustizie da riparare e denunziare... Tutto questo è un impegno preciso del missionario: ma mi accorgo che a volte finisco per dire solo questo, mentre la mia esperienza più profonda di vita in Birmania è un’altra, che qui in Italia non riesco ad esprimere, non trovo l’ambiente accogliente e interessato... Io ho toccato con mano che il contributo essenziale che il missionario e la Chiesa danno alla crescita di un popolo e alla liberazione da ogni oppressione, non è tanto l’aiuto materiale o tecnico, quanto l’annunzio di Cristo: una famiglia, un villaggio, diventando cristiani passano da uno stato di passività, negligenza, divisione, ad un inizio di cammino di crescita e di liberazione. Il perché mi pare evidente e andrebbe approfondito nella cosiddetta "animazione missionaria"... Non capisco perché in Italia, anche nelle riviste missionarie, questi discorsi si fanno poco e sembra quasi che noi ci siamo fatti missionari per distribuire solo cibo, scatolette, pasta, costruire scuole, condividere la vita dei poveri... Insomma non mi risulta chiaro, nell’animazione missionaria in Italia, che il primo vero dono che noi portiamo ai popoli è la fede in Cristo, che trasforma la vita e la società, creando un modello nuovo e più umano di sviluppo".

 

DEMONIZZATO L’OCCIDENTE

C’è un secondo motivo su cui riflettere. I new global, per spiegare la povertà del terzo mondo, puntano unicamente il dito contro l’Occidente: è una critica radicale alla società occidentale e al nostro modello di sviluppo, che rischia di portare al nichilismo. Si tratta di un atteggiamento negativo perché non risponde alla realtà dei fatti: il nostro modello di sviluppo va certo migliorato e corretto, ma ha fatto fare un cammino grandioso ai nostri popoli che per primi l’hanno inventato e adottato. I giovani d’oggi non hanno più idea di come si vivesse nell’Italia del recente passato. Negli anni Trenta, quand’ero ragazzo (sono nato nel 1929), a Tronzano (Vercelli) c’erano le malattie della denutrizione, nella maggioranza delle famiglie non si mangiava a sufficienza, la carne, quando c’era, solo alla domenica; mia madre è morta di polmonite e di parto con due gemelli a 34 anni (il ricovero in ospedale era raro); forse un terzo dei ragazzi non finivano i cinque anni delle elementari perché andavano a lavorare per poter mangiare; nel 1921 il metalmeccanico faceva 60 ore di lavoro la settimana, nel 1948 solo 48, oggi 38-39; dopo la seconda guerra mondiale c’era solo una settimana di ferie l’anno, oggi un mese! Quando si dice che il nostro modello di vita non funziona, bisogna aggiungere che comunque ha migliorato moltissimo il livello di vita degli italiani.

Come si possono invitare i giovani a donare la vita alla missione della Chiesa e al volontariato internazionale, in un ambiente che ha una visione pessimistica del mondo occidentale, della Chiesa? Noi demonizziamo il progresso realizzato dall’Occidente: in realtà rinneghiamo le radici da cui esso proviene, che sono radici cristiane. Per quale alternativa? Il nichilismo della filosofia atea del Novecento, da Nietzsche in poi; una filosofia negativa, che non ha sbocchi positivi e porta l’uomo al nulla; è la stessa filosofia della "crescita zero" demografica.

 

EDUCARE. NON SOLO SOLDI!

Ascoltando certi "profeti della protesta", sembra che dobbiamo ripudiare radicalmente l’Occidente cristiano, che l’Occidente non ha nulla da insegnare agli altri popoli. Dove porta questa ideologia diffusa nei new global? Alla delusione, al pessimismo, al nichilismo. Dobbiamo ritornare a Cristo e al suo Vangelo, convertirci a Cristo e cambiare vita, per essere più disponibili nell’aiuto ai fratelli. Soprattutto, in questo contesto è un messaggio nuovo perché quando si parla di globalizzazione si parla quasi solo di soldi (Tobin tax, azzeramento debito estero, prezzi materie prime, finanziamenti allo sviluppo, commercio equo e solidale, ecc.). Bisogna fare il passaggio dai soldi alla conversione a Cristo. Nel "Manifesto delle associazioni cattoliche ai leader del G8" (7 luglio 2001) Gesù Cristo, il Vangelo, la Chiesa, i missionari non sono nemmeno nominati. In un dibattito su questo tema, una personalità dichiaratamente cattolica, alla mia proposta di convertirci a Cristo, come modello di amore al prossimo, ha commentato: "La conversione a Cristo è un fatto personale e non è importante: l’importante è amare l’uomo...". Come "amare l’uomo"! Ma per il cristiani la verità sull’uomo ha un nome preciso: Cristo. Nel lontano 1970 Paolo VI avvertiva: "Senza Cristo, i più grandi valori diventano facilmente disvalori". E la storia, anche recente, ci ha dato ampie conferme della gravità di questo rischio» (Ref.: Mondo e Missione, n.9 anno 131, novembre 2002).

 

 

 

 

 

Da Per maggiori informazioni cliccare sul logo n.13 - giugno 2003 (per maggiori informazioni cliccare sul logo).
Pubblicato da "Profezie per il Terzo Millennio" su autorizzazione del direttore di redazione di "Fede e Cultura", don Guglielmo Fichera.

 


 

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